Il 20 agosto del 1974 la Città fondava il Corpo Ausiliarie femminili della Polizia di Lugano. Una prima a livello ticinese, dal momento che le agenti del Corpo furono le prime donne a svolgere un servizio di polizia esterno in uniforme nel nostro Cantone. In occasione del 50° anniversario di fondazione, abbiamo intervistato Silva Valnegri, ausiliaria dal ’79 al ’90.

Di Silva, appena ci scambi poche parole, colpisce subito la solarità, la cordialità semplice e aperta e la gioia nel raccontare la sua esperienza di vita e professionale nel Corpo delle Ausiliarie femminili della Polizia di Lugano.  

Silva, dove sei cresciuta?

Sono nata a Mendrisio nel ’57 e cresciuta a Stabio, con papà ferroviere, mamma casalinga e un fratello più piccolo. Ero una bambina molto vivace e indipendente; nonostante un’educazione abbastanza rigida, i miei genitori mi hanno sempre lasciata libera di fare le mie scelte, senza alcuna imposizione. Sono molto grata a loro per questo.

Perché hai deciso di entrare nel Corpo delle Ausiliarie di Polizia di Lugano?

Ho sempre avuto uno spiccato senso della giustizia e il desiderio di difendere i più deboli. Non ho mai tollerato le ingiustizie; tutte le persone, senza distinzione di sesso, etnia, lingua, età, posizione sociale, hanno pari diritti e pari dignità. Far parte del Corpo delle Ausiliarie femminili significava realizzare le mie aspirazioni più grandi: essere al servizio della comunità e tradurre in pratica alcuni valori cardine della mia esistenza, quali l’uguaglianza, la tolleranza e il rispetto per gli altri.          

Qual era la percezione dei cittadini nei confronti delle ausiliarie di Polizia? C’era forse diffidenza perché la professione era tradizionalmente esercitata solo da uomini?

Dai racconti di alcune colleghe che mi hanno preceduto, so che inizialmente le reazioni da parte della cittadinanza erano per lo più di stupore e diffidenza; alcune persone mostravano una certa difficoltà a interagire con le donne in uniforme. La mia esperienza professionale nel Corpo Ausiliare è cominciata nel 1979: io ho sempre sentito il sostegno, la vicinanza e l’apprezzamento dei cittadini per il nostro lavoro. Con il tempo sono riuscita a stabilire un rapporto di fiducia, che si basava anche sulla consapevolezza del nostro ruolo a tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico. Ricordo però un aneddoto singolare: capitava che alcuni turisti provenienti dall’Asia ci fotografassero spesso, guardandoci stupiti, forse perché non avevano mai visto una donna in uniforme rossa fiammante!

Quali erano le tue mansioni?

Le attività erano abbastanza diversificate: il coordinamento e la direzione del traffico, il controllo delle aree di parcheggio, il servizio di assistenza e informazione al pubblico, la sorveglianza dell’entrata e dell’uscita dei bambini da scuola, come pure la presenza a eventi pubblici erano parte delle mie mansioni. Ho insegnato educazione stradale ai bambini delle scuole elementari, un’attività che mi ha sempre gratificato molto. Nonostante siano trascorsi diversi anni – ho concluso la mia esperienza di servizio di polizia esterno dopo essermi sposata, nel 1990 – capita ancora di essere fermata per strada e di sentirmi chiedere: “Tu sei l’agente che da bambino mi ha insegnato ad attraversare i passaggi pedonali e ad andare in bicicletta?” Quei bambini diventati adulti mi riconoscono ancora e mi esprimono ancora gratitudine e affetto!

Quali sono stati i rapporti professionali con i superiori e i colleghi uomini?

Con i miei superiori ho sempre avuto un rapporto di stima. Anche con i colleghi uomini c’è sempre stata solidarietà e rispetto reciproco. Le donne, con la loro professionalità, tenacia, competenza e sensibilità, sono un valore aggiunto per lo sviluppo del Corpo.

C’è un episodio particolare della tua carriera che ricordi con piacere?

Nel 1984 era stato fatto un sondaggio pubblico per assegnare il primo premio del concorso di cortesia fra gli agenti e le agenti di polizia. Vinsi io il premio! La notizia fu pubblicata anche sullo Swiss Journal, the official voice of the Swiss in America, fondato nel 1913. Ne fui molto felice perché la gentilezza e l’educazione verso gli altri sono un requisito fondamentale per costruire relazioni basate sulla fiducia e il rispetto reciproco.  

Ci racconti un episodio divertente legato alla tua professione?

Un episodio che ricordo con il sorriso è stato l’incontro con l’attrice francese Danièle Evenou a Lugano, protagonista dello sceneggiato Marie Pervenche diffuso alla fine degli anni ‘80 dall’allora TSI. In quel frangente io e una mia collega la incontrammo e posammo insieme in uniforme!   

Che cosa ha significato per te indossare l’uniforme?

Ho sempre indossato la divisa con grande orgoglio e senso di responsabilità. L’uniforme è un simbolo di unità, legalità e sicurezza; crea un forte senso di appartenenza, di identità e di relazione. È il segno di chi ha scelto di porsi a tutela della collettività.

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